"Ho scelto di fare il medico perché lo sentivo dentro, era un modo per soddisfare la mia curiosità ed essere utile agli altri. Sono diventato neurologo, mi piaceva, ma era anche frustrante. All’epoca c’erano poche cure, il mio lavoro non andava oltre la diagnosi. Era terribile guardare le persone negli occhi senza poter dare delle risposte, nessuna aspettativa, niente di concreto a cui appigliarsi. Volevo fare qualcosa di più costruttivo, qualcosa che mi desse la certezza di essere utile. Così ho iniziato a fare ricerca.
Era come andare a pesca: getti l’amo pieno di aspettative, non importa quanto tempo ci vorrà, ma sai che prima o poi qualcosa abboccherà. Avevo trovato la mia strada, mi sentivo pieno di fiducia. Ci sono voluti anni, poi un giorno ho guardato un paziente negli occhi e gli ho detto si può fare. Ho visto la sua gioia, ed è stato come rinascere.
Ora guardo ai successi, ma porto nel cuore tutte le persone che non hanno potuto usufruire delle nuove scoperte. Sono loro che mi spingono ad andare avanti. Faccio questo lavoro da tanti anni e mi piace sempre di più, ogni giorno ho la sensazione di andare a pesca per un futuro migliore".
Lui è Marco Salvetti, ricercatore e professore di Neurologia alla Sapienza di Roma. Negli occhi dei suoi pazienti, vede e tocca con mano l’impatto concreto della ricerca scientifica sulla vita delle persone.