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La storia di Rita Levi Montalcini

Rita Levi Montalcini storia

Lei è Rita Levi Montalcini.

Scienziata, neurologa, premio Nobel per la Medicina. Il suo contribuito è stato fondamentale nella lotta contro la sclerosi multipla.

Nascita e primi anni di studio


Rita Levi Montalcini è nata il 22 aprile 1909 a Torino. Non era una bambina diversa da tante altre: litigava con i fratelli, amava le coccole della mamma e nei primi anni di scuola era ansiosa e insicura, molto esigente con se stessa.
Aveva però una grande sensibilità e una mente sempre in movimento. A coltivare i suoi talenti fu l’ambiente familiare. I genitori, un ingegnere e una pittrice ebrei e benestanti, educarono Rita, le due sorelle e il fratello, all'amore per la cultura e la ricerca intellettuale.
Nel 1930 Rita decise di studiare Medicina e Chirurgia. A farle scegliere quella strada fu la morte per cancro della governante di casa a cui era affezionatissima.
Rita dichiarò: «Da bambine mio padre ripeteva a mia sorella e a me che dovevamo essere libere pensatrici. E noi siamo diventate libere pensatrici prima ancora di sapere cosa volesse dire pensare». Eppure il padre di Rita era contrario a una carriera considerata poco femminile.
A papà Adamo Levi e a tutta la cultura dell’epoca, che limitava l'accesso delle donne allo studio, Rita oppose un’intelligenza e una determinazione senza pari. “Minuta, passo svelto, schiena dritta, mento alto e gli occhi verdi che non avevano paura di nessuno”: così la descriveva Renato Dulbecco, suo compagno all’università, amico e anche lui premio Nobel.

Rita Levi e gli Stati Uniti


Nel 1936 Rita Levi Montalcini si laureò con 110 e lode; poi si specializzò in neurologia e psichiatria, incerta se dedicarsi alla professione medica o alla ricerca. Nel 1938, in seguito alle leggi razziali, venne sospesa ed emigrò in Belgio dove fu ospite all’istituto di Neurologia dell’Università di Bruxelles per continuare gli studi.
Tornata a Torino nel 1940, allestì un laboratorio nella sua camera da letto. Ma i terribili bombardamenti sulla città la costrinsero a scappare ancora. Prima sulle colline astigiane e poi a Firenze.
Quando i tedeschi lasciarono Firenze, Rita Levi-Montalcini venne assegnata dagli Alleati al campo dei rifugiati di guerra: «Era in corso un'epidemia di tifo» raccontò lei stessa. «I malati morivano a decine. Facevo di tutto, il medico, l'infermiera, la portantina. Giorno e notte. È stato molto duro e ho avuto fortuna a non ammalarmi».
Dopo questa tremenda esperienza, capì che la professione di medico non era per lei.
Al contrario, anche nelle condizioni precarie della guerra e delle persecuzioni, Rita non abbandonò mai la ricerca e giunse a risultati eccellenti.
Subito dopo la guerra venne invitata a Saint Louis, negli Stati Uniti, a proseguire le sue ricerche. Rita pensava a un soggiorno di pochi mesi, invece rimase per 30 anni, fino al 1977.

Il Nobel per la Medicina


Negli anni Cinquanta Rita levi Montalcini realizzò la sua scoperta rivoluzionaria: il fattore di crescita nervoso (Nerve Growth Factor), una proteina essenziale per la crescita e la differenziazione delle cellule nervose. Negli anni Settanta comprese che il fattore di crescita agiva anche sui neuroni del cervello: il passo successivo era utilizzarlo per curare le malattie cerebrali degenerative. A questo obiettivo ha dedicato tutta la sua vita.
Lo straordinario contribuito alle neuroscienze fu riconosciuto nel 1986 con il premio Nobel per la Medicina. Nonostante il carattere ottimista e fiducioso che nemmeno la guerra era riuscito a scalfire, dopo la premiazione, la grande scienziata ebbe un breve momento di crisi: «Direi che è stato un anno catastrofico» raccontò. «Un tornado, qualcosa di inaspettato. Non ero preparata. (…). Mi chiedevo perché avessero scelto me». La bambina sensibilissima, fragilissima, resistentissima - così la descriveva il fratello - ha sempre vissuto in lei.

Rita Levi, perché divenne senatrice a vita


Già negli anni Sessanta Rita Levi Montalcini aveva iniziato a dividersi tra Usa e Italia, dove fondò e diresse il laboratorio di biologia cellulare del Cnr. Il suo impegno nelle scienze e nella società italiane è stato importante. Il 1º agosto 2001 venne nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi “per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale”.
Nel ruolo di senatrice si spese prendendo posizioni forti, per esempio, sulla responsabilità sociale degli scienziati, contro le mine anti-uomo, contro lo sfruttamento dissennato delle risorse naturali, per il diritto allo studio e la leadership delle donne.
Rita Levi Montalcini morì il 30 dicembre 2012 a 103 anni, e nonostante i problemi di vista degli ultimi tempi, non lasciò mai del tutto il suo istituto di ricerca. Nel suo centesimo compleanno dichiarò: «La mia vita è stata molto fortunata. Penso di aver realizzato il massimo che potevo fare, al di là di quello che pensavo quando ero adolescente. Non ho rimpianti. Sono lieta di come la sorte mi abbia favorito».

Rita Levi Montalcini e la ricerca contro la Sclerosi Multipla


Nel 1980, Rita Levi Montalcini è stata nominata presidente di Aism. Si è spesa per far conoscere e crescere l’associazione, ha introdotto dei metodi innovativi nella raccolta fondi e nel finanziamento alla ricerca.
Mario Alberto Battaglia, presidente della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, ha lavorato per anni al suo fianco, ha conosciuto la scienziata, e la persona.
Ricorda quando andava a trovarla nella sua casa romana per discutere di questioni importanti, Montalcini chiedeva: «“Prima dimmi come stai tu, come stanno i tuoi figli, la tua famiglia»”. «“ Rita Levi Montalcini era una grande scienziata , una persona pratica, sempre attenta e consapevole, vicina alle persone.
Amava i giovani ricercatori, cercava in tutti i modi di aprire la mente e il cuore delle nuove generazioni» racconta. Mario Alberto Battaglia.

«Aveva un cuore grande come una casa, parlava con le persone, confortava, dava prospettive, si faceva carico dei loro problemi.
Una volta si è schierata a fianco di due giovani che volevano sposarsi, anche se le famiglie erano contrarie. Li ha aiutati a cercare casa e lavoro.

Diceva che la malattia non deve essere un limite, è importante che le persone siano sempre libere di fare le loro scelte di vita .
Aveva una memoria prodigiosa, ricordava i volti di tutti, le loro piccole vicissitudini quotidiane.

Dopo il Nobel era molto impegnata, eppure non si è mai persa un convegno, saliva sul palco e diceva: vedo la luce in fondo al tunnel, ce la faremo.

Superati i cento anni ancora ripeteva: voglio vedere il giorno in cui sconfiggeremo questa malattia, la sclerosi multipla . Riusciva a infondere tanta fiducia.

Mi piace ricordarla con le parole di mio nonno, amico di famiglia: una bambina seduta sulle scale che guarda l’orizzonte e si chiede cosa farò da grande».

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