Lui è Giovanni. Vive a Caserta, in Campania. Sono gli anni Ottanta. Ha 8 anni. Prende la mano della mamma e la aiuta a camminare. Le sue gambe non funzionano bene. Giovanni sa che ha una malattia dal nome strano. Sclerosi multipla. Gli fa un po’ paura, ogni tanto piange, la madre invece sorride, sdrammatizza, non si abbatte. Giovanni prega che guarisca presto. Cresce. La madre non si muove più dal letto, eppure continua a lottare. Gli trasmette tanta forza. Anche quando chiude gli occhi per sempre.
Giovanni, con fratelli Guido e Viviana, si aggrappa a quell’innata voglia di vivere, la fa sua e va avanti. Si trasferisce a Milano, diventa avvocato. La sclerosi multipla non fa più parte della sua vita, eppure è dentro di lui. Giovanni tiene d’occhio i progressi fatti dalla ricerca. Prega che si trovi una cura, e spera di poter vedere quel giorno con i suoi occhi. È il 2020. Giovanni ha 45 anni. Senza un motivo preciso, si trova a pensare alla sua infanzia, rivive sensazioni, ricordi su cui non tornava da tempo. Qualcosa scatta. Una porta mai chiusa del tutto, si spalanca.
In tutti quegli anni è stato spettatore silenzioso dei passi avanti fatti da medici e ricercatori. Ha visto come è cambiata in meglio la vita delle persone. Sente il desiderio di diventare parte integrante di quel meccanismo, di metterci del suo. Proprio lui che l’ha vissuta, e sa cosa significa. Contatta Aism, diventa socio, volontario e donatore. Supporta la ricerca in tutti i modi. Non lo fa per sentirsi meglio, ma perché è parte di lui. Dare speranza significa celebrare la vita, sempre e comunque. Ed è l’insegnamento più grande che gli ha lasciato la sua mamma.